Lavoro casalingo? l’assegno di mantenimento per la ex moglie deve essere più alto ciò in quanto tale lavoro va qualificato come contributo alla conduzione familiare.
A stabilire il superiore principio di diritto è la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 24826 del 17 Agosto 2022.
Ed in particolare, gli Ermellini ritengono che occuparsi della casa, consentendo al coniuge di svolgere la sua attività senza altre incombenze, è un lavoro che merita il dovuto riconoscimento al momento della separazione e del divorzio.
Il giudice non può, infatti, stabilire un assegno che sia solo assistenziale, senza considerare il contributo che la donna da alla formazione del patrimonio comune o del marito. Partendo da questo principio la Cassazione con la sentenza sopra richiamata bacchetta la Corte d’appello che aveva avallato il taglio dell’assegno in favore della ex moglie riducendolo da € 600,00 ad € 250,00.
L’iter logico giuridico seguito dai giudici di merito
I giudici di merito, rilevavano che la signora aveva 52 anni, non aveva problemi di salute e, in più abitava in Sardegna, regione turistica nella quale non mancavano occasioni di lavoro. Alla luce di ciò la Corte territoriale riteneva che non sussistessero nel caso di specie i presupposti affinché la donna fosse totalmente mantenuta dal marito, avendo diritto solo ad una somma che l’aiutasse a raggiungere l’indipendenza economica.
Peraltro in sede istruttoria era emerso che il suo impegno, in assenza di figli, durante il non lungo matrimonio, durato 8 anni, era stato speso solo per la casa.
La decisione della Corte di Cassazione
La donna ritenendo illegittimo il provvedimento che riduceva il suo mantenimento adiva la Corte di Cassazione.
La Suprema Corte, facendo un ragionamento completamente diverso, ribaltava la decisione della Corte di Appello.
Sul piatto della bilancia, i giudici di legittimità mettono la diversa situazione economica della ex coppia. Il marito con uno stipendio di 1.900 euro, proprietario di un immobile e di due case in nuda proprietà. La signora, di contro, non aveva mai lavorato, per espressa volontà del marito, e non possedeva qualifiche o professionalità da spendere nel mondo del lavoro dopo i 50 anni, nonostante la donna fosse iscritta nelle liste di collocamento.
Secondo gli Ermellini, in ogni caso, la Corte di Appello aveva errato nel non considerare un lavoro a tutti gli effetti il lavoro casalingo.
Ed in particolare, la cura della casa e quindi il lavoro casalingo è da considerarsi un contributo alla conduzione familiare che ha, tra l’altro, permesso all’ex marito di dedicarsi alla sua occupazione.
Alla luce di ciò, la Suprema corte ha annullato con rinvio per un nuovo giudizio avanti la Corte di Appello, invitando la predetta a decidere per un assegno compensativo, che tenga conto del contributo dato dalla ricorrente alla vita familiare.
Potrebbe anche interessarti “Assegno divorzile: il giudice deve contemporaneamente prendere in esame tutti i parametri valutativi indicati dall’art. art. 5 della legge 898/1970?”. Leggi qui.