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genitore

Collocamento del figlio presso il padre, in quali casi?

3 Dicembre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il collocamento del figlio presso il padre  è preferibile in tutti i casi in cui questi risulti essere in grado di offrire stabilità, sicurezza e continuità al minore (Cass. sez. I civile ordinanza  n. 30191/2019 del 20.11.2019).

Il caso

Una minore viene affidata dal Tribunale dell’Aquila ai servizi sociali del paese di residenza, con collocamento presso il padre in via preferenziale. La madre propone reclamo avverso il suddetto provvedimento, sottolineando  la violazione del principio del collocamento del figlio presso la madre

La Corte di Appello rigetta il reclamo

La Corte di appello adita rigetta il ricorso della donna, ritenendo che, nel caso di specie, la madre è molto permissiva e distante emotivamente dalla minore. Di contro, il padre ha dimostrato  di essere in grado di garantire alla figlia uno stile di vita educativo regolare, stabilità, sicurezza e continuità. Inoltre la minore ha un ottimo rapporto con i familiari paterni. Tutti elementi che, valutati unitamente, depongono  a favore del collocamento in via preferenziale presso il padre, che risponde al superiore interesse della minore stessa.

La donna ricorre in Cassazione

La donna, non condividendo la posizione della Corte di Appello, ricorre in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 337 ter, co. 1 e 2 c.c. In particolare la predetta ritiene che i giudici hanno dato un significato incongruo al concetto di “interesse del minore”. Ma soprattutto lamenta la mancata applicazione dell’orientamento giurisprudenziale che privilegia la collocazione dei minori presso la madre. 

La Cassazione rigetta il ricorso

Anche gli Ermellini non accolgono il ricorso della donna. La Corte di Cassazione spiega che, in tema di affidamento dei figli, il giudice deve necessariamente effettuare un giudizio prognostico. Deve cioè valutare le capacità di ciascun genitore  di crescere ed educare i figli nella nuova situazione. Tale valutazione deve essere fatta sulla base di elementi concreti. Deve essere, inoltre, valutato come i genitori hanno svolto il proprio ruolo nel passato; la capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto. Tenendo conto, infine, della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare in grado di offrire al minore (Cass. Civ. n. 18817/2015).

Ovviamente, quanto sopra, deve avvenire nel pieno rispetto del principio della bigenitorialità. Quest’ultima da intendersi quale” presenza comune dei genitori nella vita del figlio tale da garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive”.

Per le ragioni sopra spiegate, pertanto, la Corte di Cassazione ritiene che la Corte di Appello abbia correttamente applicato i principi giurisprudenziali. Infatti il padre, nel caso di specie, risulta il genitore in grado di garantire alla figlia maggiore stabilità. Pertanto il collocamento presso il predetto risponde all’interesse morale e materiale della minore stessa.

Può anche interessarti “Affidamento figlio: il genitore lo può riottenere se dimostra di avere abbandonato la vita trasgressiva”, leggi qui. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Affidamento figlio: il genitore lo può riottenere se dimostra di avere abbandonato la vita trasgressiva.

10 Ottobre 2019 Da Staff Lascia un commento

Il genitore può riottenere l’affidamento del figlio se dimostra di avere messo da parte lo stile di vita trasgressivo, fatto di alcool e droga. Infatti il reale cambiamento gli consentono di potere riottenere l’affidamento. A stabilire il predetto principio è stata la Suprema Corte, I sez. civile, con la sentenza n. 24790 depositata il 3 ottobre scorso.

Il caso

Un padre aveva perso l’affidamento del figlio minore a causa delle condotte contrarie ai dovevi di un genitore. In particolare lo stile di vita trasgressivo condotto, causato dall’abuso di alcool e droga, lo rendevano inidoneo al proprio ruolo. Tale circostanza induceva il Tribunale, a tutela del minore, a disporne temporaneamente l’affidamento ad altra famiglia. Veniva dichiarato, altresì, lo stato di adottabilità del ragazzino.

Il padre, presa coscienza e consapevolezza di quanto stava accadendo, impugnava innanzi la Corte di Appello competente il provvedimento che disponeva lo stato di adottabilità del figlio.

La Corte di Appello riconoscendo concretezza agli elementi forniti dal padre revocava lo stato di adottabilità del minore. L’Ecc.ma Corte ammetteva che i progressi posti in essere dall’uomo erano tali da consentire al figlio di fare rientro a casa.

In particolare il ricorrente dimostrava di avere adeguata capacità genitoriale e di essere in grado di supportare il figlio. Tutto ciò grazie al superamento delle problematicità legate all’abuso di alcool e stupefacenti.

La Corte di Appello andava oltre.  Affermava  che la nuova situazione non poteva essere messa in discussione dalla stabilizzazione del minore presso la famiglia affidataria. Neppure i possibili pregiudizi con il rientro nella famiglia di origine potevano avere prevalenza.

Il tutore ricorreva in Cassazione

Il Tutore ricorreva in Cassazione lamentando che il provvedimento adottato dalla Corte fosse in contrasto con l’interesse del minore. In particolare il predetto sosteneva il diritto del fanciullo alla continuità affettiva con la famiglia affidataria.

La Suprema Corte di Cassazione confermava la valutazione effettuata dal Giudice di secondo grado. Per tale ragione, pertanto, il ricorso al Giudice delle leggi si rivelava inutile. Gli Ermellini ribadivano il diritto del padre a riavere con sé il figlio. Infatti l’uomo aveva dato prova di potersene occupare sotto il profilo economico ed affettivo.  L’elemento più importante della vicenda è stata la capacità del padre di superare le problematiche legate alle dipendenze. Grande rilievo ha avuto anche l’atteggiamento positivo manifestato dall’uomo dopo il collocamento presso la famiglia affidataria.

I sopra descritti elementi hanno reso fondato il giudizio in merito alla recuperata capacità genitoriale. Ciò ha correttamente comportato la revoca dello stato di adottabilità del figlio e il rientro graduale presso la famiglia di origine.

Può interessarti anche “Il superiore interesse del minore nel procedimento per riconoscimento del figlio: le linee guida della Cassazione in Cass. I sez. Civ. Sent. n. 17762/2017”. Leggi qui.

 

 

 

 

 

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Genitore non convivente: non bastano i fine settimana alternati con i figli

7 Ottobre 2019 Da Studio Legale Arcoleo 3 commenti

Al genitore non convivente devono essere garantiti anche gli incontri infrasettimanali con i figli. Secondo la Cassazione non verrebbe rispettato il principio di bigenitorialita’ con i soli incontri a week end alterni. (Cass. n. 9764/2019)

Il Caso

Una coppia si separa. Il Tribunale e la Corte d’Appello decidono per l’affidamento condiviso della figlia minore e il collocamento presso la madre. Il papà, genitore non convivente, avrebbe invece potuto tenere con sé la bambina a fine settimana alternati.

Troppo poco per l’uomo, che quindi ricorre in Cassazione auspicando in un intervento riequilibratore.

Il papà infatti sperava di ottenere anche degli incontri infrasettimanali.

D’altronde non vi erano ragioni che facessero temere l’inidoneità dell’uomo a ricoprire il ruolo genitoriale. Né  la tenera età della figlia costituiva un problema per incontri più frequenti.  Numerosa giurisprudenza aveva già sfatato questo mito.

La soluzione giurisprudenziale

La Suprema Corte si è pronunciata in favore di questo papà, ribadendo dei principi  già affermati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu).

La Cedu, infatti, aveva posto al centro le “relazioni familiari”, portando quindi ad un graduale superamento della maternal preference.

Quello alla bigenitorialita’ è un diritto che riguarda, prima di tutto, il minore. Al quale dunque deve essere assicurato di poter trascorrere con il genitore non convivente un tempo congruo per l’instaurazione di un solido legame.

Secondo la Cassazione, “sorvegliate speciali” devono essere quelle che la Cedu ha chiamato “restrizioni supplementari”. E cioè quelle restrizioni al diritto di visita che l’autorità giudiziaria impone al genitore non convivente.

Queste restrizioni, secondo gli Ermellini, metterebbero a rischio le relazioni familiari tra un figlio e un genitore, pregiudicando il preminente interesse del minore.

La Cassazione ha altresì sottolineato come la Corte d’Appello non abbia minimamente tenuto in considerazione il comportamento della madre. La donna, infatti, avrebbe ostacolato i rapporti padre- figlio, eludendo ulteriormente il diritto di quest’ultimo alla bigenitorialita’.

È importante ricordare, infatti, che tra i requisiti di idoneità genitoriale vi è la capacità di preservare la continuità del rapporto con l’altro genitore.

Potrebbe interessarti anche: ” Collocamento paritario: quando è preferibile per il minore?”. Leggi qui 

Per approfondire vi invitiamo alla lettura dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti umani (CEDU). Leggi qui

 

 

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Diritto alla bigenitorialità: non può spingersi oltre il rifiuto del minore di incontrare il genitore non collocatario

13 Settembre 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

Il diritto alla bigenitorialità non può spingersi oltre il rifiuto del minore alla frequentazione del genitore non collocatario, a stabilirlo è la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza del 23 aprile scorso n. 11170

 

Non di rado uno dei genitori si trova avanti il netto rifiuto di un figlio ad incontrarlo. Pertanto capita spesso che i Giudici si trovino ad decidere su richieste di tutela al diritto di frequentazione con il figlio.

Ma fino a che punto può spingersi il potere del Giudice? Si può davvero imporre ad un minore di incontrare il genitore con il quale non convive stabilmente? A dare la soluzione a tale pungente quesito è l’Ecc.ma Corte di Cassazione, Sez. 1, con l’ordinanza del 23.04.2019 n.1170.

Il caso attenzionato dalla Suprema Corte riguardava un padre il quale chiedeva al Tribunale di ottenere, oltre alla modifica delle condizioni economiche e di mantenimento, l’affidamento congiunto della figlia sedicenne.

Il Tribunale, preso atto del rifiuto della figlia di volere intrattenere rapporti con il padre nonché dell’esito della CTU rigettava la domanda. Anche la Corte di Appello adita, confermava quando statuito dal giudice di prima istanza pertanto il padre, per vedere tutelato il proprio diritto alla bigenitorialità ricorreva in Cassazione.

La Corte di Cassazione respingeva definitivamente il ricorso del padre

Gli Ermellini investiti della questione rigettavano il ricorso del padre, allineandosi di fatto con l’orientamento assunto dai giudici di merito. In particolare la Corte di Cassazione sottolineava che il rapporto affettivo, per natura incoercibile, non può essere imposto. Pertanto, conclusivamente, se un figlio non intente intrattenere un rapporto stabile con il genitore non collocatario, questo non può essere obbligato.

La questione

la domanda sorge spontanea: alla luce della superiore soluzione a favore di chi è stato previsto il diritto alla bigenitorialità? E’ il diritto di ciascun genitore di essere presente in maniera significativa nella vita del figlio? Ovvero il diritto del figlio a mantenere (o non mantenere) un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori?

Nell’ordinamento giuridico italiano il diritto alla bigenitorialità è garantito e tutelato dalla legge 54/2006 sull’affido condiviso, nonché dal d.lgs. 154/2013. La superiore normativa si caratterizza per il ruolo centrale riconosciuto al minore e pertanto il bene tutelato è, in primis, il diritto del minore. In particolare il minore ha diritto a mantenere rapporti equilibrati e significativi con entrambi i genitori, nonché di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale e materiale da entrambi. 

Da tale assioma deriva la logica conseguenza che, salvo le ipotesi in cui ad ostacolare gli incontri tra genitore e figlio sia il coniuge, il figlio può rifiutarsi di frequentare l’altro genitore. La Suprema Corte stabilisce che la bigenitorialità può essere esercitata anche in accezione negativa. Ciò significa che il minore, con capacita di discernimento, ha diritto a “non mantenere” con un genitore un rapporto continuativo. Con la pronuncia in oggetto, quindi, gli Ermellini hanno messo in luce come il principio alla bigenitorialità sia posto a tutela, innanzitutto, del figlio e non solo dei genitori.

Osservazioni

Il diritto di famiglia, in continua evoluzione, spesso dai confini poco chiari e marcati rende il compito dei giudici ancora più difficile. Tale ruolo diviene particolarmente arduo quando nel caso concreto emerge l’esistenza di una grave conflittualità tra i genitori. Infatti spesso i genitori tendono a far prevalere i propri interessi a discapito di quelli dei figli. Pertanto il giudicante dovrà orientare la propria decisione tenendo in alta considerazione l’interesse morale del minore. Dovrà, altresì, valutare la capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di fatto causata dalla disgregazione del nucleo. Per fare ciò il giudicante, terrà conto del modo in cui i genitori hanno in passato svolto i propri compiti verso i figli. 

Potrebbe anche interessarti: “Il superiore interesse del minore nel procedimento per riconoscimento del figlio: le linee guida della Cassazione in Cass. I Civ. Sent. n. 17762/2017” Leggi qui

 

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Genitore sociale: avere due mamme o due papà non è contrario all’ordine pubblico.

18 Gennaio 2019 Da Studio Legale Arcoleo Lascia un commento

La Corte d’Appello di Venezia ha stabilito, con ordinanza, che la figura del genitore sociale, se riconosciuta con sentenza in un paese estero, non è contraria all’ordine pubblico. (Corte Appello, Venezia, sez. III, ord. 16/07/18)

I protagonisti della vicenda sono due papà italiani, sposati in Canada. Questi, con i gameti di uno dei due uomini e l’ovocita di una donatrice, successivamente impiantato nel corpo della “mamma” surrogata, hanno avuto un bambino.

Una volta tornati in Italia, i due decidono di trascrivere l’atto di nascita del piccolo con l’indicazione di entrambi i papà quali genitori. 

In  Canada la paternità di entrambi era stata riconosciuta con sentenza; in Italia, però  l’atto di nascita del figlio doveva essere integrato, per consentire il riconoscimento non solo del padre biologico ma anche del padre “sociale”. 

Il comune di residenza della coppia si era fermamente opposto alla rettifica dell’atto di nascita, che riconosceva come padre il solo genitore biologico, sul presupposto che il riconoscimento dell’altro fosse “contrario all’ordine pubblico”.

La decisione della Corte d’Appello di Venezia, prendendo spunto da precedente sentenza della  Cassazione,  dà ragione ai papà.

In particolare, con sentenza n. 19599/16, la Suprema Corte aveva stabilito che  “non si può ricorrere al concetto di ordine pubblico per giustificare discriminazioni nei confronti di un minore a causa della scelta di coloro che lo hanno messo al mondo mediante una pratica di procreazione assistita non consentita in Italia”, quale la tecnica della maternità surrogata. Questo, infatti, violerebbe il principio di uguaglianza. 

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