La Corte d’Appello di Palermo, lo scorso 11 ottobre, ha confermato la condanna a sei anni e due mesi per l’ex colonnello dell’esercito Salvatore Muratore. Le sei vittime, che ho difeso in giudizio sin dal primo grado, riceveranno il giusto risarcimento. Ma la vera vittoria è aver abbattuto il muro di omertà.
L’inchiesta è cominciata dalla denuncia di due ragazze minorenni e della loro madre. Le donne raccontarono di avere subito ripetuti abusi da parte dell’ex colonnello Muratore e indicarono anche altre tre giovani donne che si convinsero, poi, a sporgere denuncia. Le ragazze erano in contatto con l’ex militare attraverso un “gruppo spirituale”.
Per “liberarle dal demone della lussuria” l’uomo, le avrebbe costrette a ripetute pratiche tutt’altro che spirituali!
In quanto difensore delle vittime mi sono spesa affinché i fatti venissero a galla in tutta la loro violenza. Ho fatto in modo che queste donne raccontassero l’accaduto e il dolore che avevano provato. Non ho potuto fare a meno di restituire loro la voce per fare luce su una scomoda realtà.
Nel nostro ordinamento, purtroppo, le vittime ricoprono un ruolo secondario. Non a caso, infatti, nel processo penale, la vittima prende il nome di “persona offesa”. Questo accade perché il termine “vittima”, carico di un connotato emozionale, stride con le finalità razionali che un giudizio penale deve perseguire. La persona offesa, diventa poi “parte civile”, nel momento in cui chiede un risarcimento monetario per il danno patito.
Dunque, nell’ordinamento italiano, le vittime si inseriscono nel processo penale come “ospiti”. L’avvocato, per la loro difesa, ha solo qualche strumento civilistico, poco efficace a restituire alle vittime la dignità di persona.
Nonostante tutto, era importante che queste donne rendessero le loro testimonianze, contro uomini di (presunta) fede. E che lo facessero nonostante il mancato sostegno della comunità sociale in cui vivevano.
Com’è possibile che le istituzioni e la società abbandonino le vittime di fronte a rivelazioni, talora urlate e più spesso sussurrate tra la paura e l’imbarazzo? Non è umanamente comprensibile.
Superficialmente, in casi di violenza sessuale, come questo, dovrebbe essere scontato schierarsi con le vittime. Al contrario molti studi dimostrano il contrario.
Spesso infatti, anche operatori professionisti, di fronte a rivelazioni inequivocabili, tendono a non sostenere la vittima nella denuncia, alleandosi nei fatti con il carnefice. E il colpevole non desidera altro! Vuole che non si faccia nulla, che il tempo getti nell’oblio la verità e metta in dubbio la credibilità delle vittime. Vuole che non ne valga più la pena.
Allearci con le vittime è indubbiamente un costo enorme. Ci chiede di non fare finta di niente, di portare avanti la loro voce anche quando sono titubanti. Di stare loro vicino, ascoltarle, contenere gli sbalzi d’umore, le convinzioni autodistruttive che parlano di quel trauma.
Nelle memorie processuali ho spronato ad andare oltre il pregiudizio secondo cui queste donne fossero consapevoli e consenzienti di quanto stesse accadendo. Ho sottolineato al giudicante la gradualità del percorso di persuasione perversa attraverso cui Muratore ha circuito le vittime fino ad arrivare alla violenza sessuale.
Dal coraggio di una madre che ha saputo abbattere il muro di omertà, è cominciata l’indagine giudiziaria che ha portato alla luce l’odiosa vicenda. La condanna del carnefice, e il risarcimento delle donne, sono solo l’apice di questo percorso. La vera vittoria è stata l’interruzione, una volta per tutte, delle indicibili pratiche perpetrate a danno dei soggetti più deboli. Per questo mi sento di dire che queste donne hanno vinto due volte.
Per onestà intellettuale, però occorre specificare che si attende che la sentenza diventi definitiva.
Durante il proprio lavoro, ciascun avvocato dovrebbe sforzarsi di non tradire la definizione di vittima cosi come definita dalla “Magna Charta” delle vittime redatta dalle UN 40/34, 1985 (e ugualmente recepita dal Consiglio d’Europa). Secondo questo documento è vittima qualsiasi “individuo che, singolarmente o collettivamente, ha subito un danno, comprensivo di lesioni fisiche o psichiche, sofferenze emozionali, limitazioni economiche o sostanziali disparità in merito ai propri diritti fondamentali, mediante azioni o omissioni che violano le leggi penali vigenti degli Stati Membri”.
Attraverso la mia assistenza legale ho voluto difendere le vittime, che sono prima di tutto, individui, persone. Vittime che hanno subito un danno, non solo patrimoniale, ma soprattutto psichico, fisico ed emozionale.