Assegno di divorzio: per la sua quantificazione, a gran sorpresa, ritorna il criterio del tenore di vita. Ma non solo: l’assegno sarà calcolato anche in base al contributo dato in costanza di matrimonio – da chi lo richiede – alla formazione del patrimonio comune e personale, considerando anche la sua eventuale capacità futura di mantenersi autonomamente o di reinserirsi nel mondo del lavoro, alla durata del matrimonio e all’età di chi richiede l’assegno. Verranno quindi riconosciuti e considerati quei “sacrifici” in termini di carriera e crescita economica fatti da uno dei due coniugi, in accordo con l’altro,al fine di dedicarsi alla famiglia; scelte che inevitabilmente si ripercuotono sulla condizione economica di ciascun coniuge quando l’unione finisce.
La recentissima sentenza delle Sezioni Unite, (n.18287, 11 luglio 2018) rivoluziona l’interpretazione dei criteri previsti dal legislatore per il riconoscimento in favore di uno dei coniugi dell’assegno di divorzio, adottando un’ottica che si discosta sia da quella con cui nel maggio 2017 la Prima Sezione civile (17 maggio 2017 n. 11504) aveva deciso di superare il “diritto vivente”, sia dall’orientamento tradizionale da cui appunto la Corte, pur decidendo all’interno della sola sezione, aveva deciso di discostarsi.
Con questa attesa sentenza il diritto all’assegno di divorzio non dipende più soltanto dalla mancanza di autosufficienza economica in chi lo richiede, come invece previsto dall’indirizzo giurisprudenziale seguito dal 2017, oppure, come indicato dalla più tradizionale giurisprudenza nata nel 1990, dall’esigenza di consentire al coniuge privo di “mezzi adeguati” il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Il diritto sorge, spiega ora la Corte, anche quando si tratta di porre rimedio allo squilibrio esistente nella situazione economico-patrimoniale delle parti, le cui cause risalgono al vissuto della coppia coniugale, dando in tal modo il giusto rilievo alle scelte e ai ruoli che hanno caratterizzato la vita familiare.
Secondo detta sentenza, lunga ben 38 pagine, si deve tener conto, sia per l’attribuzione che per il calcolo dell’assegno divorzile, dell’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità, da parte di uno dei due coniugi, di procurarseli, per ragioni obiettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6 l. div., e in particolare, aggiunge, alla luce della comparazione delle condizioni economiche-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.
Si supera perciò quanto statuito dalla Corte con precedente pronuncia n. 11504/2017, che imponeva al giudice di seguire, qualora fosse chiamato a pronunciarsi sulla domanda di assegno ex art 5, comma 6, l. div. un percorso logico composto di due fasi: 1)la prima, volta ad accertare se in effetti l’assegno era dovuto (c.d. an debeatur), informata al principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole” ; 2) la seconda fase, finalizzata al calcolo dell’importo dell’assegno (c.d. quantum debeatur), informata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro economicamente più debole. Solamente in questa ultima fase il giudice doveva tener conto di tutti gli elementi indicati dalla norma.
L’intenzione della Corte del 2017 era quella di adeguarsi al mutato costume della società contemporanea discostandosi dall’indirizzo giurisprudenziale tradizionale avviato nel 1990 (SS. UU. Cass. Civ. n. 11490 e 11492/1990). Secondo il parere delle Sezioni Unite del 1990 il criterio della (eventuale) dipendenza economica tra gli ex coniugi era volto ad assicurare una graduale transizione da un modello originario di famiglia basato sull’indissolubilità del matrimonio a un differente modello teso a istruire a chiare lettere il principio di parità tra i coniugi, prima inesistente. Tale esigenza, a giudizio della Prima Sezione civile della stessa Corte, nel 2017 è ormai venuta meno in ragione del notevole cambiamento della società, sempre più tesa all’individualità e all’autoresponsabilità della persona intesa come “singola”. L’asse portante della decisione veniva rappresentato dall’idea che con il divorzio il rapporto matrimoniale deve ritenersi definitivamente estinto, non solo perché, dal punto di vista dello status, i coniugi, tornano a essere “persone singole”, ma anche dal punto di vista dei loro rapporti economici-patrimoniali e del reciproco dovere di assistenza morale e materiale.
Successivamente nella giurisprudenza è seguito un richiamo “seriale” alla linea della Prima Sezione e ai principi da essa enunciati, senza che vi sia stata fatta alcuna integrazione o ulteriore opportuna riflessione.
Tuttavia, alcuni giudici e parte della dottrina si chiedevano se “le persone single” divorziate dovessero considerarsi effettivamente “senza passato” (la considerazione dell’apporto personale ed economico e del sacrificio devoluti alla coppia dai coniugi singolarmente nella vita matrimoniale veniva relegata solamente alla seconda fase del giudizio sull’assegnazione dell’assegno divorzile) e non ci fosse inoltre la necessità di considerare ciascun caso concreto per la propria particolarità.
Cominciava a essere sentita, invero, l’esigenza di una valutazione “caso per caso” del criterio dell’autosufficienza economica. A fare da apripista per la più recente pronuncia delle Sezioni Unite sono intervenute ben due sentenze proprio della Prima Sezione della Corte di Cassazione (sent. n. 2042/2018; sent. n. 2043/2018) introducendo alcuni correttivi per evitare inique situazioni, cui un’applicazione rigorosa dei principi della pronuncia del 2017 poteva dare luogo. L’autosufficienza, denunciavano entrambe sentenze, non rappresenta infatti un parametro uguale per tutti, dovendosi perseguire il raggiungimento di situazioni di riequilibrio che possano garantire alla parte più debole un’esistenza dignitosa, alla luce della situazione personale in cui ella si trova. Pur mantenendo la struttura bifasica del giudizio, qui la Corte evidenziava che una volta provata la non autosufficienza secondo una valutazione, però, ponderata al singolo caso concreto, potevano ben concorrere, ai fini della quantificazione, i vari criteri di cui al comma sesto dell’art. 5, L. 898/1970.
La recentissima decisione della Corte, già letta come “più giusta da punto di vista morale e sociale” (sancisce soddisfatta l’Associazione degli avvocati matrimonialisti) , accoglie e amplifica la via aperta dalle predette pronunce innovando nuovamente l’indirizzo come sopra in più riprese illustrato.
Si supera la struttura “a due fasi”, e in questo modo l’attribuzione dell’assegno non dipende più necessariamente dall’accertamento di uno stato di bisogno, ma tutela quelle situazioni caratterizzate da una differenza reddituale conseguente alle decisioni assunte di comune accordo dalle parti nella conduzione della vita familiare.
Le Sezioni Unite ritengono dunque che l’assegno di mantenimento debba essere riconosciuto e quantificato in base al contributo fornito dal richiedente nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età dello stesso.
La soluzione prospettata ben si uniforma a quanto già applicato in altri stati dell’Unione Europea, come ad esempio Francia e Germania, con la differenza, però che nel nostro sistema giuridico manca il requisito della temporaneità dell’assegno. Ciò, tuttavia, trova un puntuale correttivo nella possibilità di modifica delle condizioni della sentenza di divorzio in presenza di fatti sopravvenuti.
La parte richiedente deve fornire la prova del proprio contributo alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge con ogni mezzo anche mediante presunzioni. Mentre la parte che chiede la riduzione o la eliminazione dell’assegno posto originariamente a suo carico deve fornire la prova contraria del superamento della disparità.
Già da molti è stato affermato che con la nuova sentenza la Corte ha inaugurato una nuova stagione del diritto di famiglia: si tratta di vedere come tale indirizzo ed i principi su cui esso si fonda troveranno concreta applicazione nella giurisprudenza di merito, e come verrà così mantenuto o nuovamente reinterpretato il difficile bilanciamento tra il principio di autoresponsabilità e la pari dignità tra i coniugi.
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